La recensione de L’uomo del censimento di China Miéville!

La nostra recensione de L’uomo del censimento di China Miéville, pubblicato da Zona 42. Firmata per noi dall’autrice de La Rosa Bianca, Barbara Poscolieri.

L'uomo del censimento di China Miéville

Presentando il romanzo L’uomo del censimento, finalista del Premio Hugo e portato in Italia dall’editore Zona 42, China Miéville dichiara di amare le storie che gli lasciano un senso di smarrimento. Le ama come lettore e come autore e, tra le sue tante opere, L’uomo del censimento è quella che, secondo lui, meglio rappresenta il suo personale concetto di turbamento. Ed è indubbio che riesca perfettamente nel suo intento.

Il volume, che vi abbiamo segnalato nel nostro articolo dedicato, è disponibile su Amazon e sul sito di Zona 42.

L’uomo del censimento: quello che la storia dice…

Già dalle parole dell’autore, si può intuire quanto sia difficile parlare di trama in un libro il cui scopo ultimo è quello di lasciare smarrito il lettore. Smarrimento è il termine più adatto perché è praticamente impossibile seguire la storia attraverso un sentiero ben delineato. Miéville ci mostra i binari su cui procedere, ci dà un inizio e un conflitto, un protagonista e persino un antagonista, e lo fa già nel primissimo capitolo, illudendoci di essere davanti a un libro comune. Ma non facciamo in tempo a sederci in carrozza che ci accorgiamo subito che questo viaggio non sarà come gli altri: i binari sono spesso interrotti ed è il lettore che deve alzarsi dal suo posto, rinunciare alla comodità di una lettura passiva, e costruirsi la tratta mancante, se vuole arrivare in fondo contento e soddisfatto.

Né la trama né lo stile (di cui parleremo più avanti) procedono, infatti, in modo lineare o anche solo definito: al di là dei salti temporali, a cui il lettore del fantastico è spesso abituato e che sono in realtà ben pochi, a stordire è soprattutto l’impalpabilità di ogni aspetto della storia. L’inizio stesso, chiaro nella sua semplicità al momento della lettura, si trasforma subito in qualcosa di indefinito.

L’inizio del racconto

L’incipit ci mostra un ragazzino che arriva in paese dopo essere fuggito dalla sua casa sulla collina, nella quale vive con i genitori. Lì ha assistito a una scena che lo ha terrorizzato: suo padre ha appena ucciso sua madre. Ed ecco qua tutto quello che serve per iniziare una storia: un protagonista (il ragazzino), un evento scatenante (l’omicidio del genitore), un antagonista (il padre), un conflitto (cosa ne sarà ora di questa famiglia?). Ma ecco anche che Miéville rimescola le carte. Siamo davvero sicuri di quello che ha visto il ragazzino? Lui stesso non ne è più così convinto: è stato il padre a uccidere la madre o viceversa? O il colpevole è qualcun altro? O non è stato ucciso proprio nessuno? D’altronde la madre gli ha lasciato una lettera in cui gli spiegava i motivi per cui se ne è andata. È solo andata via, non è morta. O no?

L'uomo del censimento
Un particolare della copertina de L’uomo del censimento

Questa incertezza permea anche tutto il resto, dall’ambientazione ai personaggi. La prima, intesa sia in senso geografico che temporale, resta uno sfondo vago che si adatta perfettamente alla nebbiosità della trama. Ciò che si sa è che, in un tempo sospeso in un futuro chissà quanto remoto, gli eventi si svolgono tra due colline unite da un ponte e attraversate da una voragine nella quale vengono gettati i rifiuti. Cosa ci sia sul fondo di quella voragine noi non lo sappiamo con certezza. Il nostro protagonista ipotizza la presenza di un’entità maligna che si nutre di immondizia e carcasse di animali morti (solo animali? Ed è suo padre a nutrirla? Perché?).

Sappiamo invece che oltre le colline esiste una civiltà, una città non meglio identificata da cui la gente del paese preferisce tenersi alla larga. È sicuramente una comunità più evoluta, che conosce la scrittura, ed è da lì che arrivano quelli che vengono a contare le persone. Gli uomini del censimento. Anche sul loro ruolo aleggia il mistero, così come sulle figure degli altri personaggi che attraversano la storia come ombre. Lo stesso padre, che se questo fosse un romanzo normale si potrebbe identificare come antagonista, assume concretezza solo fino a un certo punto. La sua presenza e la sua importanza sono tra le poche certezze del libro: antagonista o no, assassino o no, malvagio o no, attorno a lui ruotano tutte le emozioni del protagonista e su di lui si condensano le sue paure.

Qualunque cosa sia successo il giorno della fuga da casa, qualunque cosa quel ragazzino abbia visto o abbia creduto di vedere, l’ha traumatizzato nel profondo e gli ha fatto riversare sul padre rabbia, terrore, sospetto, sfiducia, ma anche una strana forma di affetto e la curiosità di scoprire chi è davvero quell’uomo. Persino il suo lavoro, che il figlio conosce da sempre, si ammanta ora di mistero: costruisce chiavi, ma cos’è che fanno davvero quelle chiavi? Di certo non servono solo ad aprire serrature perché le persone che gliele commissionano sembrano sperare di risolvere tutti i loro problemi.

… e quello che la storia non dice (ma che il lettore vede benissimo)

L’inizio di questo romanzo è emblematico per capirne la natura: se non possiamo fidarci nemmeno di eventi dati per certi solo poche righe prima o del nostro protagonista, di cosa possiamo fidarci allora? La risposta è una sola: di noi.

Saremo, infatti, noi lettori a dare il taglio giusto a questa storia. Non giusto in senso assoluto, ma quello più adatto a noi. Ci vedremo ciò che vorremo vederci. Saremo noi a decidere se un omicidio c’è stato veramente in quella casa, cosa vive nel fondo della voragine, che tipo di società esiste oltre le colline, cosa vogliono gli uomini del censimento e a cosa servono le chiavi create dal padre del ragazzino. Forse l’unica cosa che non decideremo, perché stavolta è la storia a dircelo, è il futuro del protagonista. Tutto il resto, però, è nelle mani del lettore che, forse per la prima volta, ha il potere di definire ciò che legge. E questo, oltre alla trama in sé, riguarda anche il genere letterario d’appartenenza.

Gli elementi fantastici non sono mai così evidenti da non poterli mettere da parte, considerandoli magari il frutto della fantasia di un bambino. E la vita nel paese tra le colline non è poi così distante da quella di un piccolo borgo del secolo scorso. In questo senso, il romanzo potrebbe raccontare solo la storia di un ragazzino traumatizzato, rientrando a pieno titolo nella narrativa generale. Di contro, accentuando gli elementi fantastici e rendendo concrete tutte le visioni del protagonista, allora eccoci di fronte a un romanzo che spazia dall’horror al fantasy o anche al distopico, a seconda delle sfumature che preferiamo dargli. Difficile però non cogliere in questa storia toni cupi e atmosfere inquietanti, che peraltro Miéville sa comunicare in modo eccezionale anche in lavori molto meno destabilizzanti.

This Census-Taker: l'edizione inglese de L'uomo del censimento
La copertina di This Census-Taker, edizione inglese de L’uomo del censimento

In L’uomo del censimento anche lo stile narrativo distrugge certezze

Una delle poche regole certe della scrittura è di scegliere il punto di vista con il quale raccontare la storia e rimanergli fedele. Questo non significa che nel corso del romanzo non possa esserci un cambio, ma che quando è necessario bisogna farlo in modo ragionato e non traumatico per il lettore, che rischia altrimenti di trovarsi disorientato.

Cosa si fa allora quando l’obiettivo è proprio disorientare? Provocare al lettore un senso di smarrimento, per dirlo con le parole di China Miéville? Si prende questa certezza e la si sgretola.

Impossibile dire in quale persona è scritto L’uomo del censimento, perché si passa senza soluzione di continuo dalla prima persona alla terza, dalla focalizzazione interna al narratore onnisciente, con tratti persino in seconda persona. Avete letto bene: senza soluzione di continuo. Niente divisioni, stacchi o cambi di capitolo. Non solo: il passaggio da una forma all’altra avviene anche all’interno dello stesso paragrafo o addirittura della stessa frase. Folle. Disturbante. Geniale.

Don’t try this at home bisogna aggiungere, perché per rendere non solo leggibile ma persino piacevole un romanzo scritto in questo modo bisogna essere China Miéville. Ossia un grandissimo scrittore.

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